In data 20 novembre 2017 è intervenuta un’importante pronuncia della Corte di Cassazione in una controversia in cui lo Studio Sena e Tarchini assiste un inventore che ha realizzato numerosi e rilevanti trovati mentre, alle dipendenze di una società italiana appartenente ad un gruppo multinazionale, svolgeva le mansioni di amministratore delegato (Cass. 27500/2017, Presidente Vittorio Ragonesi, Relatore Carlo De Chiara – qui allegata). La Suprema Corte ha confermato il diritto dell’inventore dipendente all’equo premio per le invenzioni brevettate dalla società, respingendo le molteplici argomentazioni sulla base delle quali quest’ultima ha tentato di sottrarsi agli obblighi a suo carico ex art. 64 c.p.i.Vale in particolare segnalare che, confermando i giudizi già espressi in primo ed in secondo grado, la Corte di Cassazione ha
definitivamente negato che il datore di lavoro al quale viene richiesto l’equo premio sia legittimato a contestare, sia in via di eccezione che in via di azione, la validità dei brevetti di cui è titolare.La Suprema Corte, oltre a ribadire il principio per cui una contestazione formulata in via di eccezione non sarebbe comunque sufficiente a sottrarre il datore di lavoro all’obbligo di corrispondere l’equo premio, ha affermato che la legittimazione  di quest’ultimo all’azione di nullità è esclusa dalla legge, posto che l’art. 122 c.p.i. (come già l’art. 78 l. inv.) contempla il titolare unicamente come ‘contraddittore’ nel giudizio di validità che coinvolge il brevetto.

La Cassazione ha peraltro ritenuto di sottolineare che l’esclusione del titolare del brevetto dal novero dei soggetti legittimati all’azione di nullità discende dal generale divieto di venire contra factum proprium.